LE SCIENZE BIOSISTEMICHE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scienze Bio Sistemiche ®

(Le 5 Leggi Biologiche e gli Ordini Sistemici)

 

 

INTRODUZIONE

 

Lo studio della Biologia offre un contributo investigativo di fondamentale utilità applicativa se vogliamo comprendere in modo differente quanto siamo abituati a concepire semplicisticamente come malattia.

La prima importante esperienza maturata in più di trenta anni di lavoro nell’ambito della salute e della sanità pubblica mi permette di esprimere un pensiero necessario: le Scienze Biologiche dovrebbero sempre essere un supporto fondamentale nelle procedure mediche.

Mai in passato si sono venuti a creare modelli  di funzione organica, così come è invece avvenuto negli ultimi decenni, recanti l’errore della chiave interpretativa della realtà chimico-fisica e biologica del mondo vivente. Parliamo di modelli tendenzialmente orientati verso una idea di fisiologia e quindi di patologia riprodotti in laboratorio e non nel vivente. Credere un organo o una funzione tessutale alterata perché cambiata, senza conoscere il senso e lo scopo del cambiamento in atto, produce un errore interpretativo ed interventi quasi sempre di costo elevato e di scarsa praticità applicativa.

E’ cronaca di forte attualità, per esempio, il continuo fare passi indietro sulle teorie eziologiche (causa di malattia) e l’abbandono di procedure che precedentemente erano state immesse, in commercio e nei protocolli ufficiali, quasi sempre con particolari enfasi di efficacia.

Posso affermare da Epidemiologo ed operatore di Sanità Pubblica che non è assolutamente facile sfuggire a regole imposte dal mercato della salute, così come è difficile l’applicazione di una sana e soprattutto etica ricerca scientifica, soprattutto se chi la finanzia è orientato verso il profitto anziché la conoscenza di fenomeni induttivi e la loro verifica deduttiva, un logica avente come unico fine la crescita sociale, umana, cultura e spirituale dell’uomo, ovvero tutto quanto definiamo genericamente  con il termine “salute”.

Secondo la Filosofia della Scienza, se una teoria scientifica non può essere verificata e nemmeno confutata, diviene una teorizzazione non deduttiva ed apre le porte ad un’accettazione culturale e ideologica di natura dogmatica.

Alla mancanza di Leggi che disciplinano in modo trasparente la ricerca scientifica, si aggiunge una drammatica posizione oltranzista e assolutista da parte di chi produce le nuove scoperte, che allontana in modo forzato dal confronto multidisciplinare condivisibile con i tanti studiosi di altre branche del sapere.

Questo è un forte limite alla libertà e alla deontologia del medico e di qualsiasi operatore sanitario sempre più vittime innocenti di processi produttivi che arruolano alla malattia e al farmaco, deprivando il rapporto terapeutico di quel contenuto emozionale che metta al “centro” la persona sofferente, nella sua individualità e nella sua ricerca responsabile di soluzioni.

Un mercato della salute sostenuto da una convenzionale propaganda forzata degli studi, orienta al consenso distratto e acritico e al falso bisogno sanitario e trasforma l’operato, di chiunque voglia prendersi cura di chi soffre, in un vero e proprio atto di fede se non addirittura, in alcuni casi, in una pratica mirata unicamente a difendersi dall’errore (medicina difensiva?).

Occorre quindi un accurato approccio scientifico di tipo biologico, anche in campo medico, per raggiungere una pratica che dia benefici verificabili e comprovabili; un livello che permetta un maggiore potere di scelta al cittadino, nel suo rivolgersi al mondo della salute. 

Pur lasciando queste verità a chi ha gli strumenti e la possibilità concreta, soprattutto politica, del cambiamento, vorrei evidenziare la vera grande possibilità racchiusa nella definizione di Scienza Bio-Sistemica.

Creare un approccio che non voglia sostituirsi “al vecchio” in modo altrettanto inconfutabile e assolutista, per un nuovo sapere da accettare come dogma, o tanto meno una nuova corrente di buona coscienza che si contrappone a quanto già esiste.

Un sano progresso del conoscere, comprendere e verificare, ha profonde radici con l’ambito evoluzionistico, etologico e ontogenetico dello stare al mondo, in poche parole con l’osservazione biologica dell’esistenza di tutte le creature viventi.

 

Quanto proponiamo è un confronto sulle procedure che studiano i fenomeni vitali, la logica e le leggi che regolamentano gli scambi tra individui. Una visione olistica nel rispetto dell’ordine ecologico e sistemico dello stare al mondo che include l’essere umano in una visione non semplicisticamente antropocentrica o teocentrica, ma più specificamente naturocentrica.

 

La direzione è quella di una metodologia comportamentalistica, che fa dell’epigenetica (la scienza che studia il cambiamento funzionale dei geni in rapporto alle richieste dell’ambiente) il fondamento dell’osservazione empirica, con un criterio condivisibile della dimostrazione e della ripetibilità di quanto teorizziamo.

 

Questo intento propone una visione non medica bensì sistemica della salute.

Ci troveremo lontani dall’intenzione riduzionista di creare una nuova qualsiasi medicina convenzionale o alternativa, in cammino anche con quanto già esiste ma in un’osservazione priva  del termine generico e spersonalizzante “malattia”, ricco di soliti e sfuggenti presupposti probabilistici, puntando decisi all’obiettivo pratico  della comprensione condivisibile.

 

Cercheremo insieme un metodo per comprendere le risposte soggettive degli esseri viventi e quanto definiamo “sintomi” ed etichettiamo, a volte anche un po’ sbrigativamente, col termine morbus.

 

Lo scopo non è cercare nuove cure miracolistiche ma il comprendere le risposte individuali biologiche e sensate come migliore adattamento alla proprio gruppo di appartenenza (branco biologico), per una vita più orientata e meno espropriabile dal sentito dire e soprattutto da una diagnosi medica che le statistiche epidemiologiche, in ambito sanitario, confermano sempre più sconfessabile da secondi e terzi pareri.

 

Uno studio che segua con occhio attento come la vita sia affermativa per la vita, come i cambiamenti del corpo  di qualsiasi natura, siano sempre indirizzati verso un valore di utilità  adattativa e cooperativa.

Non cercheremo più segni buoni o cattivi perché scopriremo che la natura non fa nulla di bello o di brutto, di benigno o maligno, ma fa solo quanto serve con un intento logico per la vita.

 

Le interazioni e le profonde connessioni morfogenetiche tra i bio-cicli, secondo un criterio di bifasicità, con le varie catene alimentari che permeano la vita e con la riproduzione delle specie, tendono all’equilibrio costante.

La biosfera e i suoi abitanti, animali e vegetali, interagiscono seguendo le stesse leggi di compensazione biologica e sistemica che ritroviamo poi nella vita umana.  

L’equilibrio costante tra il mondo affettivo, la socialità, l’affermazione della propria linea germinativa, avviene grazie ad un criterio biologico che, nell’uomo moderno, va ancora letto attraverso gli stessi codici ontogenetici animali.

Le tracce sono nell’embriogenesi e istogenesi umana, perfettamente allineate in modo comparativo all’evoluzione degli altri mammiferi terrestri.

In tutto il mondo vivente questo avviene grazie a forze naturali, un tempo solo immaginate ed oggi confermate anche dalla fisica quantistica, indispensabili al mantenimento dell’omeostasi vitale.

Nella vita umana, in chiave biologica, ritroviamo e discutiamo su un valore che ancora oggi appare invisibile e trascurato, un fenomeno vitale semplicemente poco misurabili con strumenti convenzionali: l’emozione.

L’emozione, che defineremo psiche biologica, è quanto condiziona anche i cambiamenti del corpo con la qualità della risposta adattativa immediata (quanto immediato può essere per esempio il “fare acquolina in bocca” davanti ad un cibo appetitoso?).

Le mediazione della mente “pensante” è lenta e prevedibile (inciampando e cadendo improvvisamente, cerchiamo istintivamente di ripararci dagli effetti dell’impatto oppure “pensiamo” in qualche modo di limitare i danni?).

Le risposte del cervello istintivo, veloce e proporzionato agli eventi esterni, non sono condizionate da come “la pensiamo” ma solo da ciò che “siamo” e da quanto ci serve per continuare ad “essere”.

Sono il frutto delle nostre esperienze e dei nostri precedenti conflitti e dei nostri precedenti schemi di sopravvivenza creati nel momento del pericolo sin da piccoli (provate ad immaginare un giovane calciatore che impara a cadere dopo un contrasto di gioco sempre meglio; dopo anni di pratica nel suo ruolo specifico, un difensore cadrà da difensore, un attaccante cadrà da attaccante, tutto questo avviene attraverso un apprendimento tutt’altro che mentale).

 

Capire chi e perché, valutare l’aspetto comportamentale del conflitto, del trauma e delle risposte individuali fisio-patologiche, potrà essere un guadagno deduttivo e alla portata di tutti. Il sintomo che scaturisce da una diagnosi clinica, può esso stesso divenire l’evidenza concreta del livello emozionale, mostrandoci come la fisiologia e la cosiddetta patologia seguano in realtà un progetto adattativo ed evolutivo dell’individuo.

 

Attraverso la comprensione del linguaggio del corpo (sintomi), osserveremo il significato compensativo che scaturisce da spiazzamenti improvvisi (shock biologici) dettati dall’ambiente di vita (habitat biologico) e vedremo come sia possibile risalire al comportamento, ai ruoli, ai compiti e agli irretimenti scritti nel destino di ciascuno di noi (habitat sistemico).

Un medico biologo fu il primo sperimentatore empirico dello schock biologico.

Un esperimento un po’ ardito e che in qualche modo mortifica la vita, come è appunto mortificante usare cavie animali (e ahimè anche umane come normalmente purtroppo accade oggi!) ma sicuramente, in questo caso, illuminante in quanto a procedure e risultati, soprattutto senza vittime innocenti!

 

Henry Laborit negli anni 50 lavorò su cavie da laboratorio tenute in una gabbia con 2 compartimenti e con una griglia attraverso la quale passava dell’elettricità, in una emiparte della gabbia e un foro di comunicazione all’altra emiparte senza griglia elettrica. Il primo esperimento fu condotto su un individuo tenuto dinanzi ad piccolo segnale luminoso ed acustico che si attivava 5 secondi prima del passaggio di elettricità. L’elettricità passava poi per una decina di secondi. Nella gabbia, la cavia subiva una scossa elettrica per 10 secondi, ogni 30 minuti, e questo per una settimana.

La cavia è un animale che impara velocemente (7 volte più velocemente di una cane) e capisce fin dalla prima volta che quando il segnale luminoso si accende, arriverà poi l’elettricità. Quindi, già dalla seconda volta, al momento del segnale luminoso, l’animale passava dall’altra parte della gabbia dove non vi era alcuna elettricità.

Dopo una settimana, Laborit sottopose la cavia ad un check-up, analisi del sangue e tutto il resto.

Gli esiti non erano certo quelli che Laborit si aspettava, infatti il topo risultava completamente sano. Questo topo, infastidito, maltrattato, stressato, non presentava malattie. Le analisi rivelavano che la cavia era in perfetta salute.

Allora provò a mettere nella gabbia 2 cavie e chiuse l’accesso alla emiparte della gabbia senza griglia. Fece passare l’elettricità allo stesso ritmo. Le cavie erano a quel punto obbligate a subire l’elettricità perché non gli fu data la possibilità di passare dall’altra parte, quella appunto isolata dal campo elettromagnetico e quindi protettivo.

Laborit notò che al momento del segnale i tipi si raddrizzavano su 2 zampe e cominciavano a combattere. Ogni volta che arrivava la scossa elettrica, combattevano tra di loro, come se ognuna reputasse l'altra la responsabile dell'accaduto, per non dire un vero e proprio aggressore. Ogni volta che il sensore si accendeva e la corrente invadeva la gabbia, i due topi se le davano di santa ragione prendendosi in pieno sia botte che elettricità.

Anche in questo caso, dopo aver fatto le analisi alle due cavie, lo studioso scoprì, con suo sommo stupore e disappunto, che le cavie erano entrambe sane. Ma come? Se non era stress quello!

Prendersi costantemente corrente e morsi. Eppure non vi erano conseguenze di rilievo. Fece allora fa un ulteriore esperimento.

Una cavia dentro la gabbia, ma questa volta da sola e con la porta chiusa, è costretta a subire l’elettricità senza poter fare nulla.

Alla fine della settimana dalle analisi risultò che la cavia era a questo punto malata: perdita di pelo, ipertensione arteriosa, ipercortisolemia, abbassamento del testosterone e ulcere gastriche.

Con questo esperimento Laborit dimostrò che quando si ha un problema importante, se possiamo fuggire non ci ammaliamo. Se possiamo combattere, non ci ammaliamo. Se non possiamo né fuggire né combattere e viviamo il senso di isolamento, ci ammaliamo.

Conclusione: dopo un forte spiazzamento (schock) quando si è nell’inibizione dell’azione ci si ammala.

 

L’esistenza biologica prevede la conquista e il mantenimento del proprio status sociale, le varianti adattative seguono un filo logico per la vita, ognuno nasce con un ruolo preciso, e sin dal primo momento in cui si attiva la vita, sin dalla fase embrio-fetale poi i primi vagiti, e poi dai primi respiri, avviene quanto serve per la sopravvivenza, grazie all’attivazione biologica del nostro sistema psichico/cerebrale e organico.

I cambiamenti ambientali percepiti “non normali” dall’individuo unico, determinano un fenomeno critico adattativo della creatura vivente, con un suo linguaggio (sintomo) e un suo significato riparativo secondo una logica di sensatezza biologica.

Chi dimostrò l’esistenza di un imprinting, un modo individuale nel rispondere all’ambiente biologico sin dalla nascita, fu Konrad Lorenz (premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1974).

Lo scienziato, studiando i fenomeni comportamentali di varie specie animali, stabilì l’importanza di aprire le porte ad una nuova fisiopatologia, basata sulla valutazione attenta dell’entità e qualità degli stimoli ambientali quale fonte di risposta funzionale organica, psichica ed etologica degli esseri viventi:

 

«Solo un attento studio di questi significati biologici letti attraverso la fisiologia umana e animale potrà dare in futuro informazioni precise anche sulla patologia» (L’etologia,Konrad Lorenz, Ed. Bollati Boringhieri)

 

 

 

Il livello biologico, più specificamente nel campo della salute umana, è stato divulgato grazie alle famose 5 Leggi Biologiche, che ritroviamo anche nei tentivi fatti da Geerd Hamer, con la sua cosiddetta medicina germanica, e da Aaron Antonovsky con la sua Salutogenesi.

A questi autori manca tuttavia una parte importante: nell’essere umano la relazione biologica si arricchisce non solo di contenuti emozionali per così dire “traslati”, ma anche di compiti e di contenuti sistemici svelati dalle Costellazioni Famigliari e Spirituali di Bert Hellinger.

 

Vediamo i punti salienti del criterio biologico:

 

Ontogenesi: studio dell’evoluzione

Embriogenesi: studio dello sviluppo di aree morfogenetiche specifiche per organo.

Istogenesi: studio dello sviluppo dei tessuti organici e relazione con il cervello.

Etologia: studio del comportamento sociale e relazione adattativa cerebrale e organica.

 

Da un lato dobbiamo favorire un’osservazione diretta del corpo umano attraverso una lettura della fisiologia che, dopo uno shock biologico, da normale diventa “speciale” (quanto viene poi chiamata malattia), dall’altro integrare la natura Sistemica anche delle nostre risposte organiche.

 

Intendiamo per sistemiche quelle esperienze di sopravvivenza appartenenti al campo di energia del luogo dove nasciamo, cresciamo ed evolviamo come individui adulti, capire come i nostri compiti e i nostri ruoli, sin dalla vita embrio-fetale, seguano degli Ordini dell’Amore, tanto perfetti quanto invisibile alla nostra mente razionale, sapientemente scoperti e descritti da Bert Hellinger.

 

Le risposte (sintomi), organiche e psichiche, sono conseguenza diretta di tutti i segni adattativi dell’individuo unico, un impegno sistemico e biologico la cui qualità è insita nel suo personale e speciale modo di sentire e interagire con la sua famiglia di origine (irretimento).

 

La Biologia verso la Sistemica: un campo di azione e di osservazione in cui la conoscenza della realtà avviene attraverso una visione d’insieme unica e integrata dell’Essere.

La sofferenza (il cosiddetto male) diviene parte di un codice esistenziale, componente specifica del nostro Bio-Sistema.

La malattia ci parlerà di qualcuno più che di qualcosa, permettendoci di verificare la linea e la direzione del giusto equilibrio compensativo regolato da un ordine superiore,

Un ordine che, quando riconosciuto, permette di integrare l’esperienza che c’è innocenza nei nostri carnefici, ed anche e soprattutto, nel nostro percepirci vittime (anche di una diagnosi medica?); uno spazio sacro che segua le leggi della riconciliazione con quel fiume d’amore, che scorre attraverso la nostra famiglia e che ci ha donato la vita e che sostiene la nostra esistenza.

Entreremo in contatto con una nuova abilità, affinare le nostre percezioni d’indagatori del mistero e su quanto sfugge all’ordinario modo di raccontarci la nostra storia personale, per acquisire finalmente la capacità di riconsiderare il nostro ruolo e le nostre credenze rispetto al mondo che ci circonda.

Sarà questa la nostra trasformazione in esseri cooperanti al servizio di qualcosa di superiore,  privi di  etichette, schemi e soprattutto ruoli egoici fatti di interventismi e necessità salvifiche.

Il morbus spogliato dalla rigidità del materialismo che affligge oggi il Mondo Occidentale, diventa una vera opportunità per un cambiamento responsabile e cosciente del nostro essere e restare umani.

 

 

“Non siamo esseri umani che compiono esperienze spirituali, siamo esseri spirituali che compiono esperienze in un corpo fisico… viviamo in un mondo tangibile e ancora trasformabile nello spazio sacro della nostra mente neutra” (Yogi Bahajan)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scienze Bio Sistemiche ®

(Le 5 Leggi Biologiche e gli Ordini Sistemici)

 

 

INTRODUZIONE

 

Lo studio della Biologia offre un contributo investigativo di fondamentale utilità applicativa se vogliamo comprendere in modo differente quanto siamo abituati a concepire semplicisticamente come malattia.

La prima importante esperienza maturata in più di trenta anni di lavoro nell’ambito della salute e della sanità pubblica mi permette di esprimere un pensiero necessario: le Scienze Biologiche dovrebbero sempre essere un supporto fondamentale nelle procedure mediche.

Mai in passato si sono venuti a creare modelli  di funzione organica, così come è invece avvenuto negli ultimi decenni, recanti l’errore della chiave interpretativa della realtà chimico-fisica e biologica del mondo vivente. Parliamo di modelli tendenzialmente orientati verso una idea di fisiologia e quindi di patologia riprodotti in laboratorio e non nel vivente. Credere un organo o una funzione tessutale alterata perché cambiata, senza conoscere il senso e lo scopo del cambiamento in atto, produce un errore interpretativo ed interventi quasi sempre di costo elevato e di scarsa praticità applicativa.

E’ cronaca di forte attualità, per esempio, il continuo fare passi indietro sulle teorie eziologiche (causa di malattia) e l’abbandono di procedure che precedentemente erano state immesse, in commercio e nei protocolli ufficiali, quasi sempre con particolari enfasi di efficacia.

Posso affermare da Epidemiologo ed operatore di Sanità Pubblica che non è assolutamente facile sfuggire a regole imposte dal mercato della salute, così come è difficile l’applicazione di una sana e soprattutto etica ricerca scientifica, soprattutto se chi la finanzia è orientato verso il profitto anziché la conoscenza di fenomeni induttivi e la loro verifica deduttiva, un logica avente come unico fine la crescita sociale, umana, cultura e spirituale dell’uomo, ovvero tutto quanto definiamo genericamente  con il termine “salute”.

Secondo la Filosofia della Scienza, se una teoria scientifica non può essere verificata e nemmeno confutata, diviene una teorizzazione non deduttiva ed apre le porte ad un’accettazione culturale e ideologica di natura dogmatica.

Alla mancanza di Leggi che disciplinano in modo trasparente la ricerca scientifica, si aggiunge una drammatica posizione oltranzista e assolutista da parte di chi produce le nuove scoperte, che allontana in modo forzato dal confronto multidisciplinare condivisibile con i tanti studiosi di altre branche del sapere.

Questo è un forte limite alla libertà e alla deontologia del medico e di qualsiasi operatore sanitario sempre più vittime innocenti di processi produttivi che arruolano alla malattia e al farmaco, deprivando il rapporto terapeutico di quel contenuto emozionale che metta al “centro” la persona sofferente, nella sua individualità e nella sua ricerca responsabile di soluzioni.

Un mercato della salute sostenuto da una convenzionale propaganda forzata degli studi, orienta al consenso distratto e acritico e al falso bisogno sanitario e trasforma l’operato, di chiunque voglia prendersi cura di chi soffre, in un vero e proprio atto di fede se non addirittura, in alcuni casi, in una pratica mirata unicamente a difendersi dall’errore (medicina difensiva?).

Occorre quindi un accurato approccio scientifico di tipo biologico, anche in campo medico, per raggiungere una pratica che dia benefici verificabili e comprovabili; un livello che permetta un maggiore potere di scelta al cittadino, nel suo rivolgersi al mondo della salute. 

Pur lasciando queste verità a chi ha gli strumenti e la possibilità concreta, soprattutto politica, del cambiamento, vorrei evidenziare la vera grande possibilità racchiusa nella definizione di Scienza Bio-Sistemica.

Creare un approccio che non voglia sostituirsi “al vecchio” in modo altrettanto inconfutabile e assolutista, per un nuovo sapere da accettare come dogma, o tanto meno una nuova corrente di buona coscienza che si contrappone a quanto già esiste.

Un sano progresso del conoscere, comprendere e verificare, ha profonde radici con l’ambito evoluzionistico, etologico e ontogenetico dello stare al mondo, in poche parole con l’osservazione biologica dell’esistenza di tutte le creature viventi.

 

Quanto proponiamo è un confronto sulle procedure che studiano i fenomeni vitali, la logica e le leggi che regolamentano gli scambi tra individui. Una visione olistica nel rispetto dell’ordine ecologico e sistemico dello stare al mondo che include l’essere umano in una visione non semplicisticamente antropocentrica o teocentrica, ma più specificamente naturocentrica.

 

La direzione è quella di una metodologia comportamentalistica, che fa dell’epigenetica (la scienza che studia il cambiamento funzionale dei geni in rapporto alle richieste dell’ambiente) il fondamento dell’osservazione empirica, con un criterio condivisibile della dimostrazione e della ripetibilità di quanto teorizziamo.

 

Questo intento propone una visione non medica bensì sistemica della salute.

Ci troveremo lontani dall’intenzione riduzionista di creare una nuova qualsiasi medicina convenzionale o alternativa, in cammino anche con quanto già esiste ma in un’osservazione priva  del termine generico e spersonalizzante “malattia”, ricco di soliti e sfuggenti presupposti probabilistici, puntando decisi all’obiettivo pratico  della comprensione condivisibile.

 

Cercheremo insieme un metodo per comprendere le risposte soggettive degli esseri viventi e quanto definiamo “sintomi” ed etichettiamo, a volte anche un po’ sbrigativamente, col termine morbus.

 

Lo scopo non è cercare nuove cure miracolistiche ma il comprendere le risposte individuali biologiche e sensate come migliore adattamento alla proprio gruppo di appartenenza (branco biologico), per una vita più orientata e meno espropriabile dal sentito dire e soprattutto da una diagnosi medica che le statistiche epidemiologiche, in ambito sanitario, confermano sempre più sconfessabile da secondi e terzi pareri.

 

Uno studio che segua con occhio attento come la vita sia affermativa per la vita, come i cambiamenti del corpo  di qualsiasi natura, siano sempre indirizzati verso un valore di utilità  adattativa e cooperativa.

Non cercheremo più segni buoni o cattivi perché scopriremo che la natura non fa nulla di bello o di brutto, di benigno o maligno, ma fa solo quanto serve con un intento logico per la vita.

 

Le interazioni e le profonde connessioni morfogenetiche tra i bio-cicli, secondo un criterio di bifasicità, con le varie catene alimentari che permeano la vita e con la riproduzione delle specie, tendono all’equilibrio costante.

La biosfera e i suoi abitanti, animali e vegetali, interagiscono seguendo le stesse leggi di compensazione biologica e sistemica che ritroviamo poi nella vita umana.  

L’equilibrio costante tra il mondo affettivo, la socialità, l’affermazione della propria linea germinativa, avviene grazie ad un criterio biologico che, nell’uomo moderno, va ancora letto attraverso gli stessi codici ontogenetici animali.

Le tracce sono nell’embriogenesi e istogenesi umana, perfettamente allineate in modo comparativo all’evoluzione degli altri mammiferi terrestri.

In tutto il mondo vivente questo avviene grazie a forze naturali, un tempo solo immaginate ed oggi confermate anche dalla fisica quantistica, indispensabili al mantenimento dell’omeostasi vitale.

Nella vita umana, in chiave biologica, ritroviamo e discutiamo su un valore che ancora oggi appare invisibile e trascurato, un fenomeno vitale semplicemente poco misurabili con strumenti convenzionali: l’emozione.

L’emozione, che defineremo psiche biologica, è quanto condiziona anche i cambiamenti del corpo con la qualità della risposta adattativa immediata (quanto immediato può essere per esempio il “fare acquolina in bocca” davanti ad un cibo appetitoso?).

Le mediazione della mente “pensante” è lenta e prevedibile (inciampando e cadendo improvvisamente, cerchiamo istintivamente di ripararci dagli effetti dell’impatto oppure “pensiamo” in qualche modo di limitare i danni?).

Le risposte del cervello istintivo, veloce e proporzionato agli eventi esterni, non sono condizionate da come “la pensiamo” ma solo da ciò che “siamo” e da quanto ci serve per continuare ad “essere”.

Sono il frutto delle nostre esperienze e dei nostri precedenti conflitti e dei nostri precedenti schemi di sopravvivenza creati nel momento del pericolo sin da piccoli (provate ad immaginare un giovane calciatore che impara a cadere dopo un contrasto di gioco sempre meglio; dopo anni di pratica nel suo ruolo specifico, un difensore cadrà da difensore, un attaccante cadrà da attaccante, tutto questo avviene attraverso un apprendimento tutt’altro che mentale).

 

Capire chi e perché, valutare l’aspetto comportamentale del conflitto, del trauma e delle risposte individuali fisio-patologiche, potrà essere un guadagno deduttivo e alla portata di tutti. Il sintomo che scaturisce da una diagnosi clinica, può esso stesso divenire l’evidenza concreta del livello emozionale, mostrandoci come la fisiologia e la cosiddetta patologia seguano in realtà un progetto adattativo ed evolutivo dell’individuo.

 

Attraverso la comprensione del linguaggio del corpo (sintomi), osserveremo il significato compensativo che scaturisce da spiazzamenti improvvisi (shock biologici) dettati dall’ambiente di vita (habitat biologico) e vedremo come sia possibile risalire al comportamento, ai ruoli, ai compiti e agli irretimenti scritti nel destino di ciascuno di noi (habitat sistemico).

Un medico biologo fu il primo sperimentatore empirico dello schock biologico.

Un esperimento un po’ ardito e che in qualche modo mortifica la vita, come è appunto mortificante usare cavie animali (e ahimè anche umane come normalmente purtroppo accade oggi!) ma sicuramente, in questo caso, illuminante in quanto a procedure e risultati, soprattutto senza vittime innocenti!

 

Henry Laborit negli anni 50 lavorò su cavie da laboratorio tenute in una gabbia con 2 compartimenti e con una griglia attraverso la quale passava dell’elettricità, in una emiparte della gabbia e un foro di comunicazione all’altra emiparte senza griglia elettrica. Il primo esperimento fu condotto su un individuo tenuto dinanzi ad piccolo segnale luminoso ed acustico che si attivava 5 secondi prima del passaggio di elettricità. L’elettricità passava poi per una decina di secondi. Nella gabbia, la cavia subiva una scossa elettrica per 10 secondi, ogni 30 minuti, e questo per una settimana.

La cavia è un animale che impara velocemente (7 volte più velocemente di una cane) e capisce fin dalla prima volta che quando il segnale luminoso si accende, arriverà poi l’elettricità. Quindi, già dalla seconda volta, al momento del segnale luminoso, l’animale passava dall’altra parte della gabbia dove non vi era alcuna elettricità.

Dopo una settimana, Laborit sottopose la cavia ad un check-up, analisi del sangue e tutto il resto.

Gli esiti non erano certo quelli che Laborit si aspettava, infatti il topo risultava completamente sano. Questo topo, infastidito, maltrattato, stressato, non presentava malattie. Le analisi rivelavano che la cavia era in perfetta salute.

Allora provò a mettere nella gabbia 2 cavie e chiuse l’accesso alla emiparte della gabbia senza griglia. Fece passare l’elettricità allo stesso ritmo. Le cavie erano a quel punto obbligate a subire l’elettricità perché non gli fu data la possibilità di passare dall’altra parte, quella appunto isolata dal campo elettromagnetico e quindi protettivo.

Laborit notò che al momento del segnale i tipi si raddrizzavano su 2 zampe e cominciavano a combattere. Ogni volta che arrivava la scossa elettrica, combattevano tra di loro, come se ognuna reputasse l'altra la responsabile dell'accaduto, per non dire un vero e proprio aggressore. Ogni volta che il sensore si accendeva e la corrente invadeva la gabbia, i due topi se le davano di santa ragione prendendosi in pieno sia botte che elettricità.

Anche in questo caso, dopo aver fatto le analisi alle due cavie, lo studioso scoprì, con suo sommo stupore e disappunto, che le cavie erano entrambe sane. Ma come? Se non era stress quello!

Prendersi costantemente corrente e morsi. Eppure non vi erano conseguenze di rilievo. Fece allora fa un ulteriore esperimento.

Una cavia dentro la gabbia, ma questa volta da sola e con la porta chiusa, è costretta a subire l’elettricità senza poter fare nulla.

Alla fine della settimana dalle analisi risultò che la cavia era a questo punto malata: perdita di pelo, ipertensione arteriosa, ipercortisolemia, abbassamento del testosterone e ulcere gastriche.

Con questo esperimento Laborit dimostrò che quando si ha un problema importante, se possiamo fuggire non ci ammaliamo. Se possiamo combattere, non ci ammaliamo. Se non possiamo né fuggire né combattere e viviamo il senso di isolamento, ci ammaliamo.

Conclusione: dopo un forte spiazzamento (schock) quando si è nell’inibizione dell’azione ci si ammala.

 

L’esistenza biologica prevede la conquista e il mantenimento del proprio status sociale, le varianti adattative seguono un filo logico per la vita, ognuno nasce con un ruolo preciso, e sin dal primo momento in cui si attiva la vita, sin dalla fase embrio-fetale poi i primi vagiti, e poi dai primi respiri, avviene quanto serve per la sopravvivenza, grazie all’attivazione biologica del nostro sistema psichico/cerebrale e organico.

I cambiamenti ambientali percepiti “non normali” dall’individuo unico, determinano un fenomeno critico adattativo della creatura vivente, con un suo linguaggio (sintomo) e un suo significato riparativo secondo una logica di sensatezza biologica.

Chi dimostrò l’esistenza di un imprinting, un modo individuale nel rispondere all’ambiente biologico sin dalla nascita, fu Konrad Lorenz (premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1974).

Lo scienziato, studiando i fenomeni comportamentali di varie specie animali, stabilì l’importanza di aprire le porte ad una nuova fisiopatologia, basata sulla valutazione attenta dell’entità e qualità degli stimoli ambientali quale fonte di risposta funzionale organica, psichica ed etologica degli esseri viventi:

 

«Solo un attento studio di questi significati biologici letti attraverso la fisiologia umana e animale potrà dare in futuro informazioni precise anche sulla patologia» (L’etologia,Konrad Lorenz, Ed. Bollati Boringhieri)

 

 

 

Il livello biologico, più specificamente nel campo della salute umana, è stato divulgato grazie alle famose 5 Leggi Biologiche, che ritroviamo anche nei tentivi fatti da Geerd Hamer, con la sua cosiddetta medicina germanica, e da Aaron Antonovsky con la sua Salutogenesi.

A questi autori manca tuttavia una parte importante: nell’essere umano la relazione biologica si arricchisce non solo di contenuti emozionali per così dire “traslati”, ma anche di compiti e di contenuti sistemici svelati dalle Costellazioni Famigliari e Spirituali di Bert Hellinger.

 

Vediamo i punti salienti del criterio biologico:

 

Ontogenesi: studio dell’evoluzione

Embriogenesi: studio dello sviluppo di aree morfogenetiche specifiche per organo.

Istogenesi: studio dello sviluppo dei tessuti organici e relazione con il cervello.

Etologia: studio del comportamento sociale e relazione adattativa cerebrale e organica.

 

Da un lato dobbiamo favorire un’osservazione diretta del corpo umano attraverso una lettura della fisiologia che, dopo uno shock biologico, da normale diventa “speciale” (quanto viene poi chiamata malattia), dall’altro integrare la natura Sistemica anche delle nostre risposte organiche.

 

Intendiamo per sistemiche quelle esperienze di sopravvivenza appartenenti al campo di energia del luogo dove nasciamo, cresciamo ed evolviamo come individui adulti, capire come i nostri compiti e i nostri ruoli, sin dalla vita embrio-fetale, seguano degli Ordini dell’Amore, tanto perfetti quanto invisibile alla nostra mente razionale, sapientemente scoperti e descritti da Bert Hellinger.

 

Le risposte (sintomi), organiche e psichiche, sono conseguenza diretta di tutti i segni adattativi dell’individuo unico, un impegno sistemico e biologico la cui qualità è insita nel suo personale e speciale modo di sentire e interagire con la sua famiglia di origine (irretimento).

 

La Biologia verso la Sistemica: un campo di azione e di osservazione in cui la conoscenza della realtà avviene attraverso una visione d’insieme unica e integrata dell’Essere.

La sofferenza (il cosiddetto male) diviene parte di un codice esistenziale, componente specifica del nostro Bio-Sistema.

La malattia ci parlerà di qualcuno più che di qualcosa, permettendoci di verificare la linea e la direzione del giusto equilibrio compensativo regolato da un ordine superiore,

Un ordine che, quando riconosciuto, permette di integrare l’esperienza che c’è innocenza nei nostri carnefici, ed anche e soprattutto, nel nostro percepirci vittime (anche di una diagnosi medica?); uno spazio sacro che segua le leggi della riconciliazione con quel fiume d’amore, che scorre attraverso la nostra famiglia e che ci ha donato la vita e che sostiene la nostra esistenza.

Entreremo in contatto con una nuova abilità, affinare le nostre percezioni d’indagatori del mistero e su quanto sfugge all’ordinario modo di raccontarci la nostra storia personale, per acquisire finalmente la capacità di riconsiderare il nostro ruolo e le nostre credenze rispetto al mondo che ci circonda.

Sarà questa la nostra trasformazione in esseri cooperanti al servizio di qualcosa di superiore,  privi di  etichette, schemi e soprattutto ruoli egoici fatti di interventismi e necessità salvifiche.

Il morbus spogliato dalla rigidità del materialismo che affligge oggi il Mondo Occidentale, diventa una vera opportunità per un cambiamento responsabile e cosciente del nostro essere e restare umani.

 

“Non siamo esseri umani che compiono esperienze spirituali, siamo esseri spirituali che compiono esperienze in un corpo fisico… viviamo in un mondo tangibile e ancora trasformabile nello spazio sacro della nostra mente neutra” (Yogi Bahajan)