Il diritto alla Libertà di scelta

Da cosa è preceduta la fase prescrittiva di un farmaco? Come si arriva a una diagnosi clinica? Si fa diagnosi su malattie reali (sintomatiche) o su segni considerati malattia anche se la persona si sente bene? Si prescrivono farmaci per attenuare la sofferenza reale di una persona, oppure i farmaci servono a prevenire un presuntivo aggravamento della stessa malattia (anch’esso presuntiva)?

La medicina preventiva, e poi l’epidemiologia, si svilupparono agli inizi del secolo scorso nel considerare come obiettivo primario la salute. La ricerca d’indici di malattia per fasce sociali, permetteva all’epoca di proteggere anche le classi sociali più forti, in un momento in cui la preoccupazione più importante erano appunto le epidemie.

Va detto che sin da allora le persone povere erano reclutate per sperimentare antibiotici e poi, successivamente, presuntive e rudimentali tecniche vaccinali. Allora come oggi (e questo avviene soprattutto nel terzo mondo) i poveri avevano ben pochi vantaggi nell’essere cavie se non di poter godere gratuitamente di una certa assistenza. Dopo circa un secolo di storia si è arrivati oggi a riconoscere, seguendo gli indici epidemiologici e i cambiamenti del vivere sociale, che il vero potere preventivo rispetto anche alle stesse cosiddette malattie infettive, è dato dal miglioramento delle condizioni di vita. La mancanza di guerre, avere luoghi ospitali dove vivere, avere abbastanza potere economico all’interno di una comunità riduce morbilità (indici di malattia) e mortalità (numero di morti per malattia).

Quindi i principali strumenti di prevenzione, risultano all’unanimità in ambito specialistico medico preventivo, innanzitutto quelli rivolti al miglioramento urbanistico e sociale di aree geografiche del nostro Pianeta. Meno importante invece la capacità di curare e prevenire attraverso l’intervento farmacologico e vaccinale, se non per quello che anche simbolicamente rappresenta all’interno di uno spazio di protezione emozionale e quindi di non abbandono della persona che soffre, in un momento di estrema difficoltà come quello della malattia.

Un totem come quello degli stregoni e delle tribù più arcaiche, quindi, lo schema è questo ancora oggi e anche il suo lignaggio è pari alle credenze del luogo dove si vive.

Nei Paesi del terzo mondo dove ci sono ancora guerre e conflitti, ingiustizie sociali e barbarie, si muore ancora di malattia “infettiva” nonostante l’uso di antibiotici e l’applicazione delle più grandi campagne vaccinali e chemioterapiche. Una medicina preventiva applicata in modo serio e corretto ci porta a fare delle osservazioni e ad affrontare quesiti molto circostanziati. Intanto va ribadito che solo la riforma Sanitaria del 1977 e l’Istituzione di un Servizio Sanitario Nazionale ha permesso negli ultimi 40 anni anche l’applicazione più concreta e corretta dell’epidemiologia.

Così, quando sentiamo parlare di morbilità e mortalità, prima di quell’epoca per eventuali patologie, non essendoci stato un adeguato livello scientifico di raccolta dati, le approssimazioni statistiche socio-demografiche sono in verità molto poco attendibili, quindi manipolabili, soprattutto in quanto a durata della vita media e anche a incidenza di malattia secondo un criterio diagnostico-anamnestico che sia anche scientificamente riconosciuto.

Oggi nell’attualità, l’epidemiologo sta all’epidemiologia come una specie di strenuo difensore dalle contraffazioni e dalle bufale mediatiche che sono, haimè, all’ordine del giorno! Lo sforzo attuale del buon epidemiologo è quello, quindi, di evitare che le persone si possano “ammalare” di falsa diagnosi, questo perché le malattie (e ovviamente gli stessi indici di rischio di malattia) sono oramai prefabbricati per vendere farmaci e procedure diagnostiche.

Il rischio della malattia da diagnosi (falso positivo) è sempre in agguato nell’indagine clinica se non si utilizzano strumenti accurati che cerchino indici di specificità, quegli indici lontani anni luce da presunte disfunzioni che hanno sempre una connotazione probabilistica e ingannevole. Un indice di specificità è un dato che deve permettere molte verifiche all’interno della procedura clinica e abbiamo visto, in questi anni di applicazione delle 5 Leggi Biologiche, che proprio la valutazione della realtà biologica dell’individuo, diviene uno strumento di grande utilità che permette poi di evitare e “prevenire” soprattutto artifizi e forzature all’interno di un’indagine scientifica che crea malattia anziché prevenirla.

I grandi limiti sottaciuti della medicina preventiva "commerciale" sono quelli a nostro parere nel non dare i giusti strumenti al medico per lavorare in modo concreto dalla parte di persone sempre più impaurite di ammalarsi, vivono bene, si sentono bene, ma hanno sempre paura del male in agguato. Questo limita molto il benessere e il godere pieno di se stessi, si resta alla mercé del Guru di turno che se non è la casa farmaceutica o il medico prescrittore, diviene un intervento alternativo che è anch’esso quasi sempre povero in quanto a dimostrazione scientifica. Il continuo violare la tranquillità delle persone con campagne di disinformazione che orientano verso strumenti troppo sensibili e per niente specifici di diagnosi, oltre che invasivi, e nemmeno, tra l’altro, sostenuti da consenso scientifico unanime, basta consultare gli innumerevoli lavori Cochrane (Evidence Based Medicine).

Ci si rivolge ignari al medico con la speranza di trovare soluzioni e ci si ritrova più malati di prima, il medico bravo è quello che sa di non dover incutere terrore e di non dover prescrivere esami inutili e invasivi ai suoi pazienti, ma in ambito pubblico è stretto nella morsa di una medicina difensiva, soprattutto se non vuole perdere il posto di lavoro, o non vuole diventare vittima di Guerre Sante mediatiche e strumentali.

Sa bene che in agguato c’è sempre la denuncia o la discriminazione se non segui gli “ordini di scuderia”. Per fortuna ci sono le leggi che tutelano l’intervento fatto secondo il rispetto dell’etica e della libertà individuale. Si arriva quasi sempre a conclusioni che tutelano l’intervento del medico che non usi strumenti di accanimento clinico e diagnostico, il problema poi è chi restituisce tranquillità e reputazione al clinico in precedenza accusato di omissione e di evento colposo? In genere si sbatte il mostro in prima pagina, ma poi quando la legge dà ragione al medico coraggioso nulla si fa a livello mediatico per restituire, giustizia, onore e reputazione, a chi ha subito il fare persecutorio di chi è a libro paga delle case farmaceutiche. In questi anni ne ho conosciuti diversi di loschi figuri che hanno dalla loro il bene placido dei canali informativi “convenzionali”.

Un esempio di spot giornalistico nel giudicare superficialmente una procedura scientifica con contenuti non alla portata dei non addetti ai lavori fu a mio parere il famoso Caso Englaro. La Sentenza della Cassazione (n. 21748/07) toccò a suo tempo un fondamentale aspetto etico in medicina, ponendo al centro della nostra attenzione soprattutto il sacrosanto rispetto al diritto di libertà di scelta terapeutica. Leggiamo nella sentenza degli spunti interessanti che mantengono viva l’attenzione sugli art. 2 e 32 della Costituzione: “La cura della persona implica non solo la cura degli interessi patrimoniali, quanto – principalmente – di quelli di natura esistenziale, tra i quali vi è indubbiamente la salute intesa non solo come integrità psicofisica, ma anche come diritto di farsi curare o di rifiutare la cura: tale diritto non può trovare limitazione alcuna finanche quando la persona interessata non è in grado di autodeterminarsi.” La sentenza continua … “Secondo il codice di deontologia medica (art. 14), il medico deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita” e “la salute dell'individuo non può essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva. Non esiste, in altri termini, un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Il medico potrà, semmai, provare a persuadere, ma non potrà mai imporre”. Nel codice di deontologia medica è chiaramente ribadito (art. 35) che "il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente". "La legittimità di per sé dell'attività medica - ribadisce Cass. pen., Sez. IV, 11 luglio 2001-3 ottobre 2001 - richiede per la sua validità e concreta liceità, in principio, la manifestazione del consenso del paziente, il quale costituisce il presupposto del trattamento medico/chirurgico”. “Il consenso afferisce alla libertà morale del soggetto e alla sua capacità di autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità psichica e corporea, le quali sono tutte profilo di una libertà personale proclamata inviolabile dall'art. 13 della Costituzione. Ne discende che non è attribuibile al medico un generale "diritto di curare", a fronte del quale non avrebbe alcun rilievo la volontà dell'ammalato che si troverebbe in una posizione di "soggezione'' su cui il medico potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza”. Appare, invece, aderente ai principi dell'ordinamento riconoscere al medico la facoltà o la potestà di curare, situazioni soggettive, queste, derivanti dall'abilitazione all'esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano di regola “del consenso della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi".

Fondamentali norme sanitarie sono ribadite poi in nei seguenti due importantissimi articoli. Il primo è della Carta Europea dei diritti del malato: Art. 12. (Diritto ad un trattamento personalizzato) Ogni individuo ha diritto a programmi diagnostici o terapeutici il più possibile adeguati alle sue esigenze personali. Il secondo Articolo su cui è importante riflettere è quello del Codice di Deontologia Medica: Art. 5 (Esercizio dell’attività professionale) Il medico nell’esercizio professionale deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici fondamentali, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona; non deve soggiacere a interessi, imposizioni e suggestioni di qualsiasi natura.

> CARTA EUROPEA PER I DIRITTI DEL MALATO